Non solo bianco e nero (ma la Juve non c’entra)

La settimana è stata caratterizzata dall’esplodere di due notizie che si sono prese la prima pagina di giornali e social: il video di Beppe Grillo in difesa del figlio e la nascita (e repentina morte) della cosiddetta Super Lega del calcio europeo.

Improvvisamente il sistema dell’informazione, che da molti mesi si alimenta quotidianamente di pandemia, vaccini, virologi e colori regionali, abbandona il tema e apre e commenta ampiamente queste notizie, lasciando l’impressione di una certa strumentalità con cui si racconta l’emergenza sanitaria.

Nel caso di Grillo abbiamo assistito a una sorta di nemesi: l’uomo che difende il figlio dalla magistratura è lo stesso che per anni ha fatto strame di ogni garanzia verso chi è sottoposto ad accuse trasformando – con la connivenza di tanto potere mediatico – ogni avviso di garanzia in sentenza definitiva.

Sulla base di questa pseudo cultura e di piazze radunate nel disprezzo delle istituzioni democratiche, ha riempito il parlamento italiano di personaggi che lo hanno umiliato fino a ridurne la rappresentatività, con il taglio dei parlamentari, e approvando leggi, come quella sulla prescrizione, che offendono la memoria dei costituenti del 1948.

Ora che è toccato da vicino dalla giustizia vorrebbe per il figlio quelle garanzie (mediatiche) che non ha mai concesso ai suoi avversari politici.

Nel campo sportivo l’ipotesi della Super Lega ha generato un rifiuto diffuso e totale, coinvolgendo perfino le istituzioni politiche di diversi Paesi e dell’Unione Europea, quasi si fosse di fronte al conflitto finale tra il Bene e il Male, tra i puri e i prezzolati, servi del vil denaro.

Eppure basterebbe un po’ di distacco critico per ricordare che quello del denaro è lo stesso criterio che ispira e guida tanta parte delle istituzioni sportive internazionali. Come giustificare l’assegnazione dei mondiali di calcio a un Paese, il Qatar, senza tradizioni calcistiche che non siano quelle del finanziamento dei club tramite petrodollari?

Paese anche sospettato di connivenze con i movimenti terroristici. E gli scandali non così lontani di Uefa e Fifa sono lì a ricordare che la battaglia per la purezza ha il chiaro sapore dell’ipocrisia.

I due esempi citati, al di là del merito su cui le opinioni possono evidentemente divergere, stanno a dimostrare una tendenza sempre più diffusa, che porta a leggere la realtà in termini schematici, come se fosse in bianco e nero; dove il criterio con cui interpretare i fatti è l’istintività personale o l’interesse del proprio gruppo. È un metodo che porta a cocenti delusioni perché i fatti sono testardi e si prendono rapidamente la rivincita.

Gli esempi sono molteplici. Ricordiamo con quanto entusiasmo furono accolte le cosiddette primavere arabe: la cultura occidentale è condizionata dal mito della rivoluzione – da quella francese in poi – che vede come l’affermazione sempre e comunque del progresso. A pochi anni di distanza il meglio che si può dire è che sono state rivoluzioni largamente incompiute.

Uno dei tanti motivi di opposizione mondiale al presidente americano Trump è stata la sua politica contro l’immigrazione illegale: il suo successore proprio in questi giorni ha finito per riconfermare quegli stessi provvedimenti.

Chi si oppone alla proposta di legge Zan è escluso dalla società dei progressisti come omofobo e magari fascista e deve essere allontanato dalla società civile.

Il dibattito culturale e politico sembra cercare un capro espiatorio piuttosto che la paziente ricerca della verità. In questo clima viene penalizzata la ragionevolezza di quelle posizioni che non si accontentano del bianco e nero.

È una ragionevolezza di cui ha soprattutto bisogno la politica italiana che troppi vogliono ridurre a uno scontro frontale tra un centrodestra “salviniano” e un centrosinistra a impronta grillina, e si impegnano quotidianamente per raggiungere l’obbiettivo, anche facendosi beffe dei sentimenti popolari.

Il nostro Paese avrebbe invece un grande bisogno di persone capaci di farsi carico delle diverse tonalità di colori di cui la realtà è fatta per costruire esperienze ragionevoli di collaborazione tra diversi.

Solo così si può sperare di togliere la politica dallo stato di contrapposizione permanente che la caratterizza oggi e che rende quasi impossibile collaborare per un bene condiviso. Non è inutile constatare quanto l’attuale coalizione governativa sia tenuta insieme più dal timore della pandemia che da una prospettiva buona di collaborazione.

Per superare questa fase di incertezza serve un popolo “in piedi”, non piagato dalla paura e dall’incertezza, un popolo che può rinascere solo dalla consapevolezza di appartenere a un comune destino cui la storia – e la Provvidenza – ci ha chiamati.

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